Cosa è successo

La pandemia rallenterà poi finirà e la nostra vita rientrarà nel suo quotidiano.

Ma occorre chiederci come ci troverà il ritorno alla ‘normalità’.

Quello che è successo, e che sta ancora accadendo, non si può cancellare e non si potrà dimenticare.

Diventa importante saper cogliere gli effetti, le reazioni che manifestiamo a ciò che stiamo vivendo da oltre un anno. Lo stress prolungato che stiamo vivendo è stato chiamato dall’OMS pandemic fatique. Una stanchezza mentale dovuta dal dover seguire tutte le regole di comportamento di prevenzione al contagio (distanziamento, mascherine, igiene degli ambienti e delle mani, regole sociali). Questa condizione crea un forte stress prolungato con inevitabili conseguenze sui nostri processi fisici e mentali, uno stress che non va ignorato o sottovalutato ma osservato con cura e attenzione.

Molte persone non riescono a riconoscere di vivere una condizione stressante e traumatica. Quindi il primo passo è quello di percepire la condizione di pandemic fatique, solo da questa ‘accettazione’ possiamo comprendere le reazioni che abbiamo attivato. Non è scontato e non è neppure semplice saper riconoscere lo stress che un trauma del genere sta generando a livello personale e collettivo.

Successivamente quello che possiamo fare è di occuparci delle tracce che il trauma lascia o ha lasciato nel nostro corpo e nella mente. Riconoscere le risposte emotive che la pandemia ci suscita, è un passaggio obbligato. Più siamo esausti, come in questo momento della pandemia, più la nostra componente emotiva si esprime e si manifesta attraverso reazioni fisiche.

Nel terzo passaggio potrebbe arrivarci la percezione di una rinnovata vitalità, scaturita dalla comprensione profonda dell’esperienza vissuta. Un senso di rinnovamento che potrebbe indurci a modificare dei comportamenti per scegliere una migliore qualità di vita.

Abbiamo già detto (nel precedente articolo) che la paura e il senso di impotenza sono emozioni attive in questa situazione e, il più delle volte, inconsapevolmente. Lo stress in corso può procurare sintomi quali insonnia, problemi di concentrazione, alterazioni alimentari, ansia, una visione pessimistica e depressiva con pensieri e sentimenti negativi, apatia e demotivazione, distacco ed estraniamento verso gli altri e/o verso il nostro quotidiano, sensi di colpa, rabbia; sintomi reattivi con comportamenti irresponsabili di aggressività e/o autodistruttivi; dipendenza dall’esercizio fisico o dal lavoro. Può sopraggiungere anche un senso di estraniamento, un modo per allontanarsi dal problema, per non sentire lo shock e l’eccessivo stimolo fisico e psichico. Così la confusione, il mutismo e la disattenzione si manifestano in modo dirompente.

La disattenzione a volte si manifesta come ‘attenzioni’ disperse in innumerevoli direzioni e con discontinuità. Si pensa ad impegni futuri o si ripercorrono quelli passati, ci si fa distrarre da particolari irrilevanti. Questo fenomeno lo si riscontra sempre più nelle modalità di comunicare tra soggetti: il concetto di base non viene approfondito o sviluppato ma ci si disperde in rivoli di considerazioni irrilevanti. La capacità riflessiva e analitica si perde. E spesso anche il linguaggio è confuso con frasi spezzate e senza sviluppi logici.

Confusione e mutismo si celano dietro queste nuove forme ‘comunicative’. L’inattenzione riflette la confusione e il disperdersi in dettagli o la ripetizione dello stesso racconto in modo meccanico descrivono in realtà un mutismo e una mancanza di contatto e di relazione.

Il terreno di base su cui costruire un nuovo inizio deve avere la nostra capacità di ritornare ‘padroni di noi stessi’. Il trauma ci deruba della nostra libertà e del sentimento di essere pienamente presenti alla nostra vita. Pienamente concentrati e coinvolti in ciò che facciamo, in ascolto e in relazione con ciò che viviamo e con gli altri, liberi di sentire ciò che sentiamo senza timori e reazioni.

Ritrovarsi

Ritrovarsi può essere il nuovo inizio o finalmente, un inizio.

Proprio a causa delle profonde tracce lasciate dal trauma possiamo sentire la necessità di riprendere in mano la nostra vita.

Ad esempio possiamo desiderare di essere più presenti a noi stessi, avere più disponibilità e calma, avere un comportamento più consapevole ed equilibrato verso gli eventi della vita.

Se siamo in equilibrio possiamo apprendere dalla nostra esperienza e non ne siamo sopraffatti.

Possiamo sviluppare quell’ascolto che è una delle premesse necessarie per conoscere le nostre esperienze interiori, che così facilmente sfuggono alla nostra attenzione, ma indispensabile anche per conoscere le esperienze interiori degli altri.

Le neuroscienze hanno preso in considerazione la necessità di ‘sentire’ e hanno trovato percorsi per definire la consapevolezza interna soggettiva. Il termine tecnico corrispondente è interocezione, dal latino ‘guardare dentro’.

Il neuroscienziato Joseph LeDoux e i suoi colleghi dimostrarono che la sola via conscia di accesso al cervello emotivo è quella dell’autoconsapevolezza attraverso, per esempio, l’attivazione della corteccia prefrontale mediale, la parte del cervello che osserva cosa succede dentro di noi, permettendoci così di sentire ciò che stiamo sentendo. Gran parte del nostro cervello cosciente è dedita a focalizzarsi sul mondo esterno: si occupa di entrare in relazione con gli altri e di fare piani per il futuro. Tuttavia ciò non ci aiuta a gestire noi stessi. La ricerca neuroscientifica dimostra che il solo modo in cui possiamo modificare come ci sentiamo consiste nel divenire consapevoli della nostra esperienza interiore, imparando a diventare amici di ciò che accade dentro di noi.

Autoconsapevolezza – Imparare ad abitare il corpo

Il senso di noi stessi è ancorato al nostro corpo.

Rifiutare di ascoltare il proprio corpo è rifiutarsi di trovare il senso di se stessi.

L’ottundimento (o la ricerca compensativa di emozioni forti) ci permette di rendere la vita accettabile, tollerabile, ma perdiamo completamente la consapevolezza del nostro mondo corporeo e dell’essere vivi.

E’ importante intraprendere il viaggio prima che si manifesti un sintomo cronico.

Bisogna diventare viaggiatori nella terra della propria interiorità. Perché se non siamo consapevoli del nostro panorama interno non possiamo prendercene cura.

Imparare ad abitare il corpo è iniziare ad apprendere un nuovo linguaggio, entrare in un vero dialogo pieno di significati e di senso. Se si è sempre nell’agire e nel reagire l’organismo innesca solo risposte inappropriate di attacco/fuga.

I partecipanti del laboratorio di Biocreatività® arrivano, spesso appesantiti e stressati, pieni delle difficoltà e fatiche della settimana, ma poi si inizia il viaggio, sono disposti a sentire.

L’apertura a sentire è il vero inizio.

Aprirsi all’ascolto è il primo passo per creare l’incontro con se stessi, per avere consapevolezza della nostra interiorità. E’ l’inizio per imparare a diventare amici di ciò che accade in noi.

Nel Laboratorio vi sono il conduttore e i compagni di viaggio.

Riconoscere che qualcuno ci può facilitare e accompagnare nel viaggio è importante, come sono importanti gli altri partecipanti. Sentire il gruppo e avere compagni crea una comunanza che ridimensiona le proprie concezioni o pensieri negativi o il senso di isolamento.

Trovare nel nostro corpo il luogo sicuro in cui abitare è la sfida.

Il rischio quando lo stress è così elevato è di allontanarsi da se stessi rifugiandosi in un mutismo e in una forma di ottundimento per non sentire. Le persone si richiudono e cercano di offuscare il proprio mondo interno.

Il desiderio di annullarsi nella distrazione o schermarsi è un rischio costante, anche per chi segue regolarmente una pratica corporea. La reazione emotiva allo stress prende il sopravvento e ci giustifichiamo allontanandoci dalla pratica. Scegliamo di restare nella nostra zona confortevole giustificando la nostra fretta, superficialità, stanchezza e mancanza di attenzione.

Essere presenti al presente – Un nuovo inizio

Diventare consapevoli del corpo cambia il senso del tempo. Diventare attenti ci porta nella realtà e nel presente esattamente come l’inattenzione ci fa disperdere e ci porta altrove.

Ascoltare le nostre pecezioni e sensazioni è un ancoraggio al tempo presente.

I cambiamenti avvengono momento per momento nel nostro viaggio interiore e portano con sé le risposte dell’organismo. Così ogni posizione, movimento e respiro ci portano nel presente, ci fanno sentire il nostro corpo un luogo sicuro, momento per momento. Alla fine di un Laboratorio si ha la sensazione di essere rigenerati, fermi in un tempo presente, la mente non rincorre pensieri nel futuro o nel passato è al contrario molto silenziosa, perché l’ascolto corporeo può accadere solo nel tempo presente.

Nel presente c’è il corpo. C’è il tempo reale. Consapevoli dell’attimo e nell’attimo.

Il corpo riportato al suo stato base di rilassamento e sicurezza elabora risposte a pericoli e stress, esce dalle reazioni attacco/fuga. Il lavoro corporeo ci toglie dai nostri automatismi favorendo l’emergere spontaneo di tutte le nostre risorse e potenzialità.

La bellezza di esserci pienamente è un processo creativo, un’arte da imparare.

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