Autore: Alessandra Trento Pagina 2 di 3

dalla tensione all’espansione

Durante i miei laboratori di esercizi e di esperienza psicocorporea alcune volte mi è capitato di dire con una doverosa dose di ironia, che noi siamo ‘destinati’ alla rigidità. Con la nascita, la venuta al mondo, inizia la nostra morte portando con sé la rigidità psicofisica. Una rigidità corporea e mentale con cui dobbiamo confrontarci e fare i conti continuamente. E’ fondamentale riconoscere queste rigidità cristallizzate in noi, se vogliamo comprendere la nostra ‘corazza caratteriale’ e le nostre modalità difensive. Questo è il primo passo.

Lowen descrive tre tipi di movimenti nella vita animale: dal centro alla periferia, nella direzione longitudinale lungo l’asse del corpo e come terzo movimento tutto il sistema di percezioni e il flusso di informazioni in entrata e in uscita dal corpo.

Di come blocchi e tensioni, dovuti a stress prolungati e ad emozioni inespresse, impediscano il libero fluire di correnti vegetative e vibrazioni, creando deviazioni o inversioni di direzione, si è scritto molto e ciascun partecipante di un laboratorio ne ha fatto esperienza.

Ma vorrei fare un ulteriore passo di comprensione e allargare l’orizzonte, verso un percorso che ci deve portare dalla contrazione all’espansione.

Queste tensioni creando la struttura caratteriale, determinano quell’io separato che con le sue visioni distorte impedisce un ‘essere’ più vasto. La nostra esperienza comune è quella della separatezza. La forma rimane, il corpo rimane, la mente rimane, la psiche rimane. Ma elaborare le tensioni, scioglierle ci porta al superamento dell’io e della separazione verso una sensazione globale di espansione in cui non c’è isolamento o frammentazione.

E ora citando Jean Klein: “E’ la sensazione di espansione che aiuta ad annichilire l’”immagine-io”, poiché l’ego è solo una contrazione, una frazione. (…) Nel lavorare con il corpo espanso, si arriva alla mente espansa. Il corpo-mente espanso è la soglia del nostro vero essere, della consapevolezza senza oggetto”.

Occorre percepire i blocchi e le tensioni per potercene liberare, verso l’espansione come soglia del nostro vero essere. Nel luogo senza confini, o non luogo, possiamo impedire che ogni singola cosa si irrigidisca in se stessa. Le famose parole di Eraclito ci dicono: “I desti hanno un mondo unico e comune, ma ciascuno dei dormienti si ritira in un mondo proprio”. #alessandra.m.trento

connessione e contatto

Stare nel presente
Osservare il presente ed entrare nel presente è indispensabile per creare consapevolezza e praticare la consapevolezza. E il presente in questi giorni ci parla con forza e ci obbliga a guardarlo con occhi diversi e con maggiore attenzione. Una accurata osservazione ci può insegnare cose nuove.

In questi anni, è aumentata l’abitudine nel nostro linguaggio di dire: ‘osservare il momento presente’ ma molto spesso non lo facciamo o non abbastanza in profondità. L’osservazione deve essere profonda per comprendere l’accadere del momento presente e priva di pregiudizi o condizionamenti.
Quante cose possono sviare o filtrare l’osservare: la paura, l’ansia, la sottovalutazione o la sopravvalutazione, non sentirci minacciati o troppo minacciati. Osserviamo le nostre reazioni, emozioni, stati d’animo e pensieri.
Durante l’esperienza bioenergetica sviluppiamo l’osservazione e il corpo ci guida in questo.
Grazie alle tensioni, alla percezione e al dolore, capiamo il nostro stato e anche la possibilità di sciogliere e allentare blocchi. Poi inconsapevolmente ci accorgiamo che anche il nostro stato d’animo si è modificato, dico inconsapevolmente perché capire quella trasformazione mentre accade è difficile, ce ne accorgiamo alla fine di tutto il percorso corporeo. Il nostro stato d’animo ci sfugge mentre la sofferenza è più tangibile.
Ora la nostra osservazione deve rivolgersi a ciò che è invisibile e difficilmente percepibile. Quindi osserviamo con più acutezza e attenzione, portiamo i sensi oltre la soglia del sensibile.
La risposta emotiva e mentale che diamo a questa situazione anomala e nuova è osservabile e deve essere compresa.
Sviluppiamo la ‘via di mezzo’, l’equilibrio, anche il buon senso. Non deprimiamoci e non disperiamoci, ma osserviamoci e osserviamo. Accogliamo amorevolmente le nostre fragilità e gioiamo delle nostre risorse e resistenze.
Stiamo nel presente che ci offre tante opportunità di conoscenza, osserviamolo e osserviamoci.

Connessione e contatto
La connessione è un aspetto che la situazione che stiamo vivendo offre e su cui è necessario riflettere.
Da quando il mondo tecnologico è entrato nella nostra vita è entrata anche la situazione e la parola connessione.
Normalmente parliamo di contatto tra umani e connessioni tecnologiche. La parola ‘connessione’ è ormai di uso comune ed è entrata nel nostro linguaggio. Vi sono connessioni internet, radiomobile, wireless, satellitari, remota.
Il mondo della tecnologia ci dice che le connessioni sono immateriali, sono una rete invisibile ma esistono e sono reali.
Durante un laboratorio d’esercizi, siamo in contatto, usiamo i nostri sensi per percepire l’altro. Ascoltiamo, osserviamo uno sguardo, una posizione, una postura…
Nel nostro quotidiano usiamo i sensi per percepire l’ambiente. Abbiamo i parametri di una vicinanza reale. Ma ora occorre una comprensione più profonda.
Cerchiamo di non guardare all’immateriale come a qualcosa di negativo che ci toglie contatto e relazioni, ma come qualcosa che ci chiede un’altra conoscenza. Una conoscenza che si deve integrare a quella concreta del gesto.
Dobbiamo sviluppare una percezione verso ciò che è più sottile, invisibile. La minaccia di un virus è invisibile. Siamo connessi a reti invisibili. Il mondo ci porta verso dimensioni diverse da quelle materiali e concrete a cui siamo abituati.
Entrare nell’immateriale chiede un radicamento nella situazione, per non decollare e perdere contatto con la realtà. Un radicamento nella visione profonda. Un radicamento maggiore nella consapevolezza che diventa una coscienza illimitata.
Il virus ci rivela quanto siamo interconnessi, la reciprocità, il senso di appartenenza, che dobbiamo prenderci cura anche di ciò che non appartiene al nostro ambiente ristretto, che tutto quello che facciamo ha un’eco su ogni cosa del pianeta. Una grande responsabilità ma anche la possibilità di sentirci umanità.
La connessione ci indica i nostri percorsi immateriali, ci dice che occorre dare attenzione a quei percorsi. Percorsi non tracciabili su mappe e istantanei, fuori dallo spazio e dal tempo come li conosciamo.
Ora riporto l’attenzione a quei momenti nel gruppo in cui sentiamo scorrere energia. In cui percepiamo quel flusso immateriale di energia che creiamo e convogliamo. Sappiamo in quel momento di essere connessi uno all’altro e di permettere all’energia di scorrere.

Quindi anche se siamo chiusi in casa, sentiamoci connessi alle persone importanti della nostra vita, al nostro gruppo, e poi allarghiamo gli orizzonti e sentiamoci connessi al pianeta. Non vi è depressione e isolamento in questo, anzi, sviluppiamo un’atteggiamento e un’intenzione diversi.
Usiamo le nostre sottili percezioni per aiutarci e sostenerci, teniamo a bada i nostri pensieri, sopratutto quelli che possono deprimere il nostro sistema immunitario e quello collettivo.
Non chiudiamoci ma apriamoci oltre il sensibile.
Sosteniamo con riconoscenza tutti i medici che ci stanno aiutando, i ricercatori, il personale e le persone coinvolte e quelle più spaventate.
La luce dissolve le tenebre e le paure.

Il tempo ritrovato

Fermiamoci
Il covid-19 ci regala tempo. Questa nuova situazione innanzitutto ci regala tempo. Potrebbe essere spaventoso avere tempo per chi normalmente corre tra continui impegni e doveri giornalieri. Per chi non si ferma mai e fa più cose contemporaneamente. Inoltre tutto questo è reso ancora più difficile da un arresto così repentino, come se un treno in corsa improvvisamente si fermasse. È difficile perché ci troviamo in un tempo sospeso, in cui non possiamo attivare la nostra solita progettualità, un tempo dilatato che ci conduce sull’orlo dell’incontro con noi stessi. Un incontro forzato. Non lo scegliamo, non abbiamo appigli o paracaduti. Siamo soli, a faccia a faccia con noi stessi.
La situazione attorno non ci aiuta, le notizie sono allarmistiche, tutto sembra crollare.
Difficile non diventare preoccupati, tristi, depressi, forse angosciati. Certo possiamo leggere, dipingere casa, fare lavoretti creativi, guardare i video in rete. Possiamo tenerci occupati in mille modi, e in un certo senso è benefico occuparci finalmente del nostro ambiente di casa e di quello interno, fare ordine e fare tutte le cose che abbiamo rimandato. Bonificare gli ambienti è vitale.
Ma … fermiamoci … osserviamo … aspettiamo.
Prendiamo questa opportunità, fermiamoci. Facciamo qualcosa di più, proviamo a stare fermi.

Osserviamo
Osserviamo e ascoltiamo ciò che dentro di noi ci disturba, ci fa soffrire o vogliamo evitare, ciò che ci crea disagio o incertezza. Armiamoci di coraggio e come in un crogiolo chiudiamo tutto e mettiamoci a tu per tu con ciò che non vorremmo mai provare, sentire, incontrare. Sigilliamo ogni fessura affinché la trasformazione possa accadere. Osserviamo come stiamo affrontando questa nuova situazione, se abbiamo ansia, visioni pessimistiche o apocalittiche. Ogni cosa, ogni risposta dice di noi. Facciamo un ritiro senza andare in un ritiro, una cura terapeutica senza andare dal terapeuta. Ci fidiamo di noi stessi? Della nostra capacità di ascolto e di risposta?
Lasciamo che l’osservazione profonda abbia inizio.
Lasciamo che l’incontro abbia inizio.
Lasciamo che l’alta temperatura della nostra osservazione crei reazioni e cambiamenti.

Aspettiamo
Non sappiamo più attendere, in questa realtà in cui tutto è veloce, il covid-19 ci impone l’attesa, la quarantena. Lasciamo che le reazioni chimiche, emotive abbiano il loro tempo.
Aspettiamo e vediamo che frutti porterà la nostra osservazione, la connessione profonda con noi stessi e con ciò che abbiamo evitato. Lasciamo che si amalghino, si mescolino gli elementi, che vi sia fusione, integrazione. Aspettiamo e prepariamoci ad accogliere la nuova sostanza, il nuovo. Occorre aspettare senza usare controllo, aspettative, senza veicolare il risultato.
Immaginiamo di poter attivare un sistema immunitario che induce autoguarigione.
Aspettiamo con innocenza l’arrivo del nuovo, di ciò che il tempo ritrovato ci può regalare. 

realtà.equilibrio.illusione

realtà.equilibrio.illusione
Del radicamento, chi fa bioenergetica ne sente parlare sempre, e per chi non possiede queste informazioni, diciamo che è uno dei capisaldi del lavoro corporeo. Molto in sintesi: Grounding è ‘avere i piedi per terra’, con un consapevole e radicato contatto con il terreno inteso anche come senso di realtà. Alcuni aspetti della persona, sono fondati sulla realtà, come una buona respirazione, non avere tensioni muscolari, sentire il proprio corpo, il proprio potenziale creativo.

Ma su altre situazioni di vita cosa significa essere realistici?

Noi vediamo la nostra realtà come attraverso degli specchi deformati, pieni di illusioni e aspettative e, ogni personalità, ogni struttura caratteriale deforma la propria realtà. Lowen: “Quando l’illusione acquista potere esige di essere realizzata, costringendo l’individuo a entrare in conflitto con la realtà, conflitto che sfocia in un comportamento disperato. Il perseguimento di un’illusione richiede il sacrificio dei buoni sentimenti nel presente e la persona che vive nell’illusione è per definizione incapace di avanzare pretese di piacere. Nella sua disperazione è disposta a rinunciare al piacere e a tenere in sospeso la vita nella speranza che l’avverarsi dell’illusione faccia scomparire la disperazione. (…) Comunque l’energia dirottata sull’illusione o sullo scopo irreale non è disponibile per la vita quotidiana nel presente. Risulta dunque menomata la capacità di far presa sulla realtà della propria situazione”.

Vi è una condizione di conflitto con la realtà e la disperazione, ma vorrei sottolineare soprattutto che dirottiamo tanta energia per mantenere e realizzare un’illusione e che ci allontaniamo dai buoni sentimenti per pareggiare i conti con le offese al sé.

Immaginiamo ora che il nostro specchio, quello attraverso cui vediamo la realtà, possa diventare piatto, senza distorsioni, avremmo così la possibilità di porci in equilibrio. In una condizione in cui la superficie dello specchio è piatta possiamo finalmente vedere, scegliere verso cosa convogliare la nostra energia, i nostri pensieri, potremmo conoscere la vita e non perderci nello scopo. In qualsiasi tipo di relazione avere un atteggiamento equilibrato offre possibilità comunicative e di scambio. Offre la possibilità di conoscere, scoprire, gioire. 

Ogni esperienza

Ogni esperienza, anche la più piccola, è leggibile e ci parla di tanto altro, ci può raccontare un mondo.

Anche un’esperienza vissuta durante un Laboratorio di Esercizi Bioenergetici, come quello di mercoledì sera, ci può portare tanta comprensione e benessere nella nostra vita. Ancora mi sorprendo di quanto può essere ricca l’esperienza di due ore di esercizi! Ecco che, grazie a quelle che possono sembrare ‘piccole’ situazioni, possiamo comprendere e percorrere grandi distanze. Noi facciamo esperienza del mondo attraverso i sensi, compresa la mente, e attraverso il movimento. Siamo il nostro strumento di conoscenza. Più articoliamo i nostri codici di lettura, più possiamo aprire i nostri orizzonti.

Con il movimento conciliamo la distanza corpo-mente, aumentiamo le nostre capacità propriocettive, ascolto, consapevolezza… ogni cosa concorre al superamento di limiti, tensioni, blocchi, muri, confini. Riconoscere una tensione, un’emozione, ri-conoscere… ri-conoscere… e di nuovo ri-conoscere, ecco il percorso per espandere, esplorare oltre i confini… e superare l’indifferenza o l’anestesia. E così ci si trova a scoprire un condizionamento mentale, un blocco corporeo e il suo significato. Questa scoperta è la base, una forma di radicamento che induce al cambiamento.

Nella condivisione, dopo gli esercizi, focalizziamo intuizioni esistenziali profonde, consapevolezze corporee, resistenze e, tanto tanto altro. Possono trovare voce e ascolto le proprie esperienze e quelle dei compagni di gruppo, proprio questa risonanza permette di avere forza nel percorso.

Non uso parole complesse per descrivere la profondità di un Laboratorio, resto nelle piccole cose, perché tutto è qui, sotto i nostri occhi, tra le nostre dita e tra le tenebre del cuore. La forza delle piccole cose, dei piccoli gesti risveglia la nostra coscienza, ci risveglia!

mani articolo

Identità funzionale del pensiero e delle sensazioni.

“L’identità funzionale del pensiero e delle sensazioni nasce dalla loro comune origine del movimento corporeo. Ogni movimento del corpo che viene percepito dalla mente cosciente fa nascere sia una sensazione che un pensiero. La consapevolezza della sensazione ha luogo in una parte del cervello differente da quella in cui si forma il pensiero. […] Ciò può spiegare perché riusciamo a pensare alle nostre sensazioni ma non a ‘sentire’ i nostri pensieri. Dato però che la percezione è una funzione generale della coscienza, finché siamo coscienti e in movimento abbiamo sia le sensazioni che i pensieri. Il concetto che i movimenti del corpo diano origine alle sensazioni e ai pensieri va contro il comune modo di pensare. Siamo abituati a considerare il movimento come il risultato del pensiero e delle sensazioni piuttosto che il contrario.”

Lowen

Prendo questo breve stralcio da un testo di Lowen per riprendere un concetto a me molto caro e che deriva da anni di lavoro corporeo. Non siamo consapevoli di quanti stimoli, immagini, sensi-bilità derivano da semplici movimenti corporei, anzi siamo convinti del contrario. “Siamo abituati a considerare il movimento come risultato di un pensiero. Ciò avviene perché osserviamo ogni avvenimento personale dal punto di vista dell’Io”.

Proviamo a percepirci partendo da questa nuova prospettiva. Anche il sognare è accompagnato da attività motoria, infatti quando la coscienza è velata dal sonno o siamo anestetizzati restiamo immobili. Ecco come il movimento che appartiene al nostro essere vivi ci apre le porte all’esserci.

Questo è alla base dei miei laboratori, ovviamente delle classi di bioenergetica, ma anche di quelli di meditazione e di biocreatività-energetica®. Il movimento se guidato con sapienza conduce il praticante ad esperienze e consapevolezze profonde. Qui entra in gioco la capacità del conduttore o facilitatore, perché la sua conduzione può fare la differenza. Aver insegnato per molti anni a nuovi conduttori di classi mi poneva il problema di far capire loro che un solo esercizio può essere posto in modi diversi e quindi suscitare risposte diverse.

La finalità è avere un organismo capace di motilità spontanea e nello stesso tempo cosciente. Questo è integrazione e consapevolezza, meditazione e creatività. Questo è ciò che vorrei comunicare nei miei laboratori di esperienze. Questo è lo scopo di Aisthesis.

La nostra realtà

La nostra realtà di base è il nostro corpo. Il nostro sé non è un’immagine prodotta dal nostro cervello, ma un organismo reale vivo e pulsante. Quando ogni parte del corpo è carica e vibrante, ci sentiamo vivi in modo vibrante e felici. Ma perché ciò accada dobbiamo arrenderci al corpo e ai suoi sentimenti. Questa resa significa lasciare che il corpo diventi pienamente vivo e libero. Possiede una sua mente e sa cosa deve fare. In realtà ciò a cui rinunciamo è l’illusione del potere della mente. Il punto migliore per cominciare è la respirazione.

A. Lowen

Sedersi, stare in piedi, correre… non c’è differenza. Non ha niente a che fare con la meditazione. Un invalido sta seduto tutto il giorno, ma non è in meditazione. Chi ‘medita’ mentre la sua mente corre senza posa verso gli oggetti dei sensi, non sta affatto meditando.

Poonja

Lasciare che il corpo diventi libero e vibrante ci permette di rinunciare all’illusione del potere della mente. Nello stesso tempo stare seduti in meditazione per ore e ore ma con una mente che corre verso gli oggetti non è meditare.

Compiere movimenti consapevoli e respirare ci introduce a spazi di vera presenza.

Ecco come potrebbe iniziare il nostro viaggio: nella resa, nella presenza… eccoci!

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Abbattiamo i muri

Nell’estate del ’90 dopo pochi mesi dalla sua caduta, anch’io ho dato il mio colpo di martello al muro di Berlino e mi sono presa dei frammenti colorati. I martelli erano lì a disposizione di tutti quelli che volevano dare il loro contributo simbolico, se non se ne trovava uno libero si aspettava che qualcuno finisse e poi … colpi di mazzate al muro. L’atmosfera era bellissima, di una leggerezza festante, direi quasi euforica. Difficile allontanarsi da quel significativo gesto collettivo che trasmetteva un profondo senso di unione e di contatto.

Noi iniziamo la nostra vita come singole cellule e la loro moltiplicazione crea una persona, leggo da Lowen: “una membrana vivente circonda ogni organismo e ne crea l’individualità separandolo dal mondo. Nello stato di salute l’individuo percepisce il contatto fra il proprio nucleo e il mondo esterno. Gli impulsi provenienti dal suo nucleo pulsante (cuore) fluiscono nel mondo e gli eventi del mondo esterno raggiungono e toccano il suo cuore. In quanto entità responsabile si sente tutt’uno con il mondo e con il cosmo. […]

Questa situazione normale è disturbata quando l’uomo, come dice Reich, diventa ‘corazzato’.” La corazza separa spacca l’unità dell’organismo e di conseguenza il senso di unità con il resto del mondo, inizia ad identificarsi con il mondo interno e a reagire a quello esterno. Lowen: “La corazza è come un muro: la persona può essere da una parte o dall’altra ma non da tutte e due nello stesso tempo”. […] L’unica soluzione è abbatterlo, eliminare la corazza e scaricare le tensioni: la bioenergetica è tutta qui.”

Eliminare i muri nel nostro organismo ci permette di allargare i nostri campi percettivi sempre di più e di più, ci permette di espandere il cuore e la coscienza. Possiamo arrivare ad un livello in cui sentiamo la nostra identificazione con la vita, la natura e il cosmo interrompendo l’identificazione con il proprio ego.

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Diventare sensibili: uscire da una anestesia diffusa verso l’aisthesis.

Prendo da wikipedia una parte di definizione di anestesia: “gli scopi dell’anestesia sono: la soppressione dello stato di coscienza, l’abolizione del dolore, il rilassamento dei muscoli, l’abolizione del ricordo e la riduzione delle complicazioni legate allo stress chirurgico”.

Questo elenco illustra perfettamente quello che inconsapevolmente cerchiamo di fare tutti i giorni per sopravvivere, ci induciamo uno stato anestetizzato. Quindi il primo passo verso la realizzazione di sé è diventare sensibili. Percepire e accogliere. Riconoscere ciò che ci circonda e chi siamo. Sentire il dolore e la paura, sentire le tensioni muscolari, essere coscienti e riconoscere lo stress da traumi o ferite, ricordare.

Il primo punto nell’elenco dell’anestesia è la soppressione dello stato di coscienza.

Allora leggo Lowen che dice: “Nell’ultimo decennio si è sviluppato un interesse crescente per ciò che viene chiamato espansione della coscienza. […] La bioenergetica ha contribuito a questo sviluppo e si inserisce nell’impostazione umanistica; è importante perciò capire che ruolo svolga in essa la coscienza e come la terapia bioenergetica contribuisca ad espanderla. […] Questo sviluppo mi suggerisce che molti vivono questa cultura come confinante e costrittiva e si sentono soffocati psichicamente dal suo crescente orientamento materialistico. La gente prova un bisogno disperato di immettere aria fresca nella mente e nei polmoni”.

Vivere aisthesis è un primo passo fondamentale verso la percezione e la consapevolezza di sé.

Diventiamo percettivi, vitali attraverso il movimento, l’osservazione visiva uditiva, tattile. Anche la mente, come sesto senso è un canale. Uscire dal nostro stato anestetizzato, fatto di insoddisfazione, insensibilità, indifferenza e riconoscere a che punto siamo nella nostra vita, qual’è la propria situazione personale. Diventare sensibili per trovare nuovi modi e relazioni, azioni creative che mirino alla salute e alla guarigione. Diventare sensibili è espansione della coscienza.

Mentre scrivo questo non posso non ricordare il senso di guarigione, di ‘aria fresca’ che si sprigiona durante un Laboratorio di Esperienza bioenergetica, una magia che si è ripetuta anche ieri sera. Succede ad ogni incontro e i partecipanti arrivano proprio per ritrovare la loro sensibilità, umanità, leggerezza, gioiosità, relazione sana. Quindi al di là delle teorie, ogni Laboratorio regala l’incontro con se stessi, con la propria coscienza in espansione.

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La bellezza è la via

Il motivo per cui, quando ho fondato l’Istituto Aisthesis, l’ho definito in questo modo lo trovo ben espresso da Vito Mancuso in queste frasi: “… io penso che il senso umano del vivere si esprima come superamento di sé. Lo si comprende dal fatto che ogni vera esperienza estetica è sempre anche un’esperienza estatica, perché conduce il soggetto a uscire da sé verso una dimensione più grande. Il termine estetica va inteso qui nel significato originario greco di “sentire, percepire, captare”: ogni vera esperienza estetica rimanda alla percezione di un livello di realtà al di là dell’ordinaria attestazione dei sensi e che per questo fa uscire da sé, secondo il significato del termine estasi. Estasi è un termine nebuloso che può insospettire e di fatto insospettisce molte menti desiderose di chiarezza e di sobrietà. Ma come nominare l’emozione dell’intelligenza e delle viscere di fronte alla bellezza acceccante della vita che si manifesta in un paesaggio naturale, in un’opera d’arte, in una musica, in uno sguardo? … Il sublime infine ci fa comprendere che la bellezza è la via, non la meta”.

Potremmo perderci nel comprendere che l’esperienza estetica è un percepire con i sensi e, pensando ai greci antichi e al magnifico libro di Hillman, in reltà è la risposta estetica del cuore. Ma è lo stupore, la meraviglia di fronte alla percezione della bellezza che ci può far andare oltre i nostri limiti. Oltre l’io e le nostre percezioni cristallizzate e fisse.

Le attività dei nostri laboratori sono un forma concreta per creare questa connessione, per ritrovare il sentire che conduce all’estaticità. Ascolto, movimento, contemplazione, espressione ecco i nostri strumenti, declinati in vari modi: esercizi, meditazione, arte, relazione.

La bellezza è la via ed è l’insieme di tutto.

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